Semiotica, strutturalismo e teoria della comunicazione
Un po' di storia
Analisi
grammaticale e logica imparate a scuola sono le basi necessarie per un primo
approccio alla scrittura e alla lettura. Se però vogliamo fare un passo avanti
nell’interpretazione testuale dovremmo cercare di avvicinarci a due discipline
fondamentali: lo strutturalismo e la semiotica. Lo strutturalismo in
linguistica è una teoria che ha inizio ai primi del ‘900 con Ferdinand de
Saussure. Nel suo “Corso di linguistica generale” propone un nuovo metodo per
lo studio di una lingua considerandola come un sistema di segni ovvero di
elementi dotati di un significante e di un significato. La novità consiste nel
considerare l’interazione tra tutte le componenti del linguaggio a partire dal
monema, l’unità minima dotata di significato, per giungere a comprendere la
struttura di un testo.
L’evoluzione dello strutturalismo, anche attraverso le
diverse scuole come il circolo di Praga, i formalisti russi o il circolo di
Copenaghen portò rapidamente allo sviluppo di una teoria che si spostava dal
mero campo linguistico a quello della comunicazione in generale. Sempre ai
primi del ‘900 il filosofo Charles Sanders Peirce gettò le basi della semiotica
basata anch’essa sullo studio dei segni, sia pure con una visione
concettualmente diversa da quella di Saussure. Semiotica e strutturalismo sono
così a poco a poco diventate due discipline fondamentali per l’interpretazione
testuale mediate da studiosi come Umberto Eco. A queste spesso è associato
anche il lavoro di Claude Shannon e Warren Weaver che a metà del ‘900 hanno
elaborato una teoria matematica della comunicazione che riguardava l’invio e la
codifica di messaggi. Roman Jakobson poco più tardi partendo dagli studi di
Saussure e della scuola russa ha formalizzato invece gli aspetti chiave della
comunicazione individuando sei funzioni e sei fattori principali che
interagiscono fra loro. E non dimentichiamo Vladimir Propp che alla fine degli
anni ’20 ha scritto “La morfologia della fiaba”, testo ineguagliabile per
l’interpretazione non solo della fiaba, grazie alla sua classificazione di
strutture invariabili e delle funzioni dei personaggi. Cosa c’entra tutto
questo con lettura e scrittura? C’entra eccome. Imparare a prendere un testo e
scomporlo nelle sue parti principali, analizzarne il linguaggio, lo stile,
capire le scelte dell’autore, studiare i personaggi e le loro modalità gestuali
ed espressive vuol dire giungere ad una comprensione approfondita del testo
basta non solo sul semplice “mi piace” o “non mi piace”, espressione in stile
Facebook che vedo ricorrere spesso in molte recensioni. La fruizione estetica
di un testo dovrebbe essere la fase finale e squisitamente personale che viene
dopo un’analisi attenta e accurata e dovrebbe da questa essere separata.
Sostituire a un’analisi oggettiva un parere soggettivo non è utile né ad altri
lettori né all’autore che non può controbattere ad un giudizio puramente
personale e non basato sull’aspetto narrativo vero e proprio.
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